venerdì 13 gennaio 2017


 
Lo zio vendicato 52 anni dopo

Giovanni Rizzo
(1843-1866)

La famiglia Rizzo versò dolorosissimi tributi di sangue alla Patria: i nominativi di Giovanni e Giorgio Rizzo, rispettivamente zio e figlio dell’eroico Luigi, rimangono indelebilmente scolpiti nella storia della Marina Militare italiana.
 
 


Giovanni Rizzo (1843-1866) 
 

 

Il primo, fratello maggiore di Giacomo (padre di Luigi), nacque nel 1843. Allievo pilota, fu imbarcato all’indomani dell’Unità sulla pirofregata Re d’Italia col numero di matricola 8.198. Tragico, beffardo destino: la Re d’Italia venne infatti assegnata agli scontri bellici destinati a strappare al nemico il Veneto, ancora in mano austriaca, ma la Terza Guerra d’Indipendenza avrebbe messo in risalto i notevoli limiti dei nostri alti comandi militari sia a terra che in mare. E così la nota disfatta navale di Lissa (Dalmazia), con tanto di affondamento della Re d’Italia, ebbe luogo il 20 luglio 1866, nel sesto anniversario della vittoria garibaldina di Milazzo sulle truppe borboniche. Giovanni Rizzo fece di tutto per mettersi in salvo. Una scheggia di granata gli aveva asportato il braccio sinistro: si trovava nell’ospedale di bordo, quando la pirofregata iniziò ad inabissarsi. Riuscì a rimanere a galla, aggrappandosi ad un rottame galleggiante, «ma l’avversario, con raffinata ferocia, volle finirlo, lanciandogli reiteratamente pece infiammata», così scrisse di lui nel 1925 il gen. Francesco Del Buono nel suo Albo d’Oro dei Milazzesi morti per la Patria, aggiungendo: «morì tra spasimi atroci! Stoica e fiera figura di marinaio siciliano».

 
Rostro di nave da guerra romana
(Battaglia delle Egadi, prima guerra punica, 241 a.C.)

La tragica fine dello zio avrebbe reso ancor più cariche di suggestioni e significati le imprese di Rizzo, che si guadagnò ben presto l’appellativo di «Vendicatore di Lissa» (cfr. Baccio Emanuele  Maineri, Luigi Rizzo, il Vendicatore di Lissa, R. Bemporad & f.o, Firenze 1919). Ai «vendicatori di Lissa», all’indomani dell’Impresa di Premuda, la Domenica del Corriere dedicò l’artistica copertina di Achille Beltrame, raffigurante «Luigi Rizzo e i suoi pochi compagni» intenti ad osservare l’affondamento della Szent Istvan, «titano della flotta austriaca vittima della loro sublime audacia» (n. 25 del 23-30 giugno 1918).

 
Sperone della Re d’Italia, inabissatasi proprio a causa
dello speronamento di nave nemica.

La disfatta di Lissa celebrò il ritorno dello sperone nei conflitti navali europei. La Re d’Italia s’inabissò infatti a seguito di speronamento dell’unità navale nemica, la pirofregata corazzata austriaca Erzherzog Ferdinand Max. Rispolverati da un ammiraglio francese nel 1840, gli speroni, che riproponevano in chiave moderna gli epici rostri bronzei delle navi militari impiegate ai tempi di Roma e Cartagine e del console Caio Duilio, ebbero largo impiego nella guerra di secessione americana, per poi approdare per la prima volta negli scontri navali d’Europa proprio nel 1866 nelle acque di Lissa.

Allo zio caduto a Lissa Luigi Rizzo avrebbe dedicato negli anni Venti il suo libro commemorativo sull’impresa di Premuda, anch’essa svoltasi in acque dalmate.